IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                          (Sezione Seconda) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 2143 del 2015, proposto da: 
        Sisal   Entertainment   S.p.A,   in   persona   del    legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli  avv.  Luigi
Medugno e Annalisa Lauteri, con domicilio eletto presso lo studio dei
difensori in Roma, Via Panama, 58; 
    Contro: 
    Agenzia delle dogane e dei monopoli,  Ministero  dell'economia  e
delle finanze, in persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,
rappresentati e  difesi  per  legge  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 
    Presidenza del Consiglio dei ministri n. c; 
    nei confronti di Replay s.r.l.; 
    e con l'intervento di ad opponendum: 
        Codacons, rappresentato e difeso dagli avv.  Carlo  Rienzi  e
Gino Giuliano, con domicilio eletto presso l'Ufficio legale nazionale
del Codacons, in Roma, viale G. Mazzini, 73; 
    Per l'annullamento del provvedimento prot. n. 4076/RU, in data 15
gennaio 2015, pubblicato in pari data sul sito dell'Agenzia, a  firma
del Direttore dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con il  quale,
in dichiarata applicazione dell'art. 1, comma  649,  della  legge  23
dicembre  2014,  n.  190,  e'  stato  determinato  il  numero   degli
apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, lettera a) e  b)  del  regio
decreto 18 giugno 1931, n. 773 e successive modificazioni, riferibili
a ciascuno concessionario alla data del 31 dicembre 2014, nonche'  la
quota parte del versamento dell'importo di cui all'art. 1, comma 649,
lettera b) della legge 23 dicembre 2014, n. 190, dovuto  dai  singoli
concessionari in maniera proporzionale al numero degli apparecchi  ad
esso riferibili (per la ricorrente pari ad euro 45.801.360,83), e  di
ogni altro  atto  presupposto,  conseguente,  ovvero  coordinato  e/o
connesso. 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione  in  giudizio  dell'Agenzia  delle
dogane e dei monopoli e del Ministero dell'economia e delle finanze; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Relatore alla pubblica udienza del  giorno  21  ottobre  2015  il
Cons. Silvia Martino; 
    Uditi gli avv.ti, di cui al verbale; 
 
              Ritenuto e considerato in fatto e diritto 
                            quanto segue 
 
    1. La societa' ricorrente rappresenta  di  essere  concessionaria
dello Stato per la realizzazione  e  conduzione  della  rete  per  la
gestione telematica del  gioco  lecito  mediante  gli  apparecchi  da
divertimento ed intrattenimento previsti dall'art. 110, comma 6,  del
testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto
18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni  ed  integrazioni,
nonche' delle attivita' e delle funzioni connesse, giusta convenzione
di concessione sottoscritta in data 20 marzo 2013. 
    La legge di stabilita' per l'anno 2015, all'art. 1, comma 649, ha
stabilito che: 
        «A fini di  concorso  al  miglioramento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica e in anticipazione del piu' organico riordino  della
misura degli aggi e dei compensi spettanti ai  concessionari  e  agli
altri operatori di filiera nell'ambito delle  reti  di  raccolta  del
gioco per conto dello Stato, in attuazione  dell'art.  14,  comma  2,
lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23,  e'  stabilita  in  500
milioni di euro su base annua la  riduzione,  a  decorrere  dall'anno
2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei
concessionari e dei soggetti che, secondo le  rispettive  competenze,
operano nella  gestione  e  raccolta  del  gioco  praticato  mediante
apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, del testo unico  di  cui  al
regio decreto 18  giugno  1931,  n.  773.  Conseguentemente,  dal  1°
gennaio 2015: 
    a)  ai  concessionari  e'  versato  dagli  operatori  di  filiera
l'intero ammontare della raccolta  del  gioco  praticato  mediante  i
predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate.  I  concessionari
comunicano all'Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli
operatori di filiera che non effettuano  tale  versamento,  anche  ai
fini dell'eventuale  successiva  denuncia  all'autorita'  giudiziaria
competente; 
    b) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche  loro
attribuite, in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a
titolo di imposte ed altri oneri  dovuti  a  legislazione  vigente  e
sulla  base  delle  convenzioni  di  concessione,  versano   altresi'
annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e
di ottobre di ogni anno, ciascuno in quota proporzionale al numero di
apparecchi ad essi riferibili alla data del  31  dicembre  2014.  Con
provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli,
adottato  entro  il  15  gennaio  2015,  previa  ricognizione,   sono
stabiliti il numero degli apparecchi di cui all'art.  110,  comma  6,
lettere a) e b), del testo unico di cui al regio  decreto  18  giugno
1931,  n.  773,  riferibili  a  ciascun  concessionario,  nonche'  le
modalita' di effettuazione del versamento. Con analogo  provvedimento
si  provvede,  a   decorrere   dall'anno   2016,   previa   periodica
ricognizione, all'eventuale  modificazione  del  predetto  numero  di
apparecchi; 
    c) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche  loro
attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le  somme
residue, disponibili per aggi e  compensi,  rinegoziando  i  relativi
contratti e versando gli aggi  e  compensi  dovuti  esclusivamente  a
fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati.» 
    Con il provvedimento  impugnato  l'Agenzia  delle  dogane  e  dei
monopoli, in preteso adempimento delle surriportate disposizioni,  ha
determinato  il  numero  degli  apparecchi   riferibili   a   ciascun
concessionario alla data del 31 dicembre 2014. 
    All'art. 2 ha poi stabilito  l'entita'  del  versamento  annuale,
ripartito  in  misura  proporzionale  al  numero   degli   apparecchi
riferibili a ciascun concessionario. 
    La societa' contesta tale misura, in quanto ritenuta  arbitraria,
irrazionale ed indebitamente retroattiva. 
    Essa,  a  poco  piu'  di  un  anno  dalla  sottoscrizione   della
convenzione di  concessione  di  durata  novennale,  ha  previsto  un
obbligo  aggiuntivo  del  tutto   inatteso   per   i   concessionari,
consistente  in   un   ulteriore   versamento   rispetto   a   quelli
convenzionalmente stabiliti, pari a complessivi 500 milioni  di  euro
annui a carico del solo comparto dei giochi  praticati  mediante  gli
apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, del testo  unico  18  giugno
1931, n. 773. 
    Questo comparto ha trovato la sua prima organica disciplina  solo
a partire dal gennaio 2003, con l'art. 22  della  legge  27  dicembre
2002, n. 289. 
    A seguito di cio', in virtu' di procedura  ad  evidenza  pubblica
avviata  sulla  base  dell'art.  14-bis,  comma  4  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 640  del  1972,  come  modificato  dal
decreto-legge n. 269 del 2003, venivano assegnate 10 concessioni  per
l'attivazione e la conduzione operativa della rete  per  la  gestione
telematica del gioco lecito mediante gli apparecchi di  cui  al  cit.
art.  10,  comma  6,  ad  altrettante  societa'  che  provvedevano  a
sottoscrivete apposita convenzione di concessione. 
    Nel corso di svolgimento di  tale  rapporto  venivano  introdotte
numerose  modifiche  dei  sistemi,  della  regolamentazione  e  delle
condizioni economiche, molte delle quali notevolmente onerose per gli
operatori,  attraverso  la   sottoposizione   di   atti   integrativi
dell'articolato convenzionale che la societa' ha  sempre  provveduto,
con non pochi sacrifici, ad accettare ed onorare. 
    Con bando pubblicato nella G.U.C.E. dell'8 agosto 2011, e'  stata
indetta  la  nuova  procedura  di  selezione  per  l'affidamento   in
concessione della  realizzazione  e  conduzione  della  rete  per  la
gestione  telematica  del  gioco  lecito,  mediante   apparecchi   da
divertimento ed intrattenimento previsti dall'art. 110, comma 6,  del
t.u.l.p.s., di cui  al  regio  decreto  18  giugno  1931,  n.  773  e
successive modificazioni ed integrazioni, nonche' delle  attivita'  e
funzioni connesse. 
    All'esito  della  procedura  sono  risultate  aggiudicatarie   12
societa', tra le quali la ricorrente, che hanno sottoscritto in  data
20 marzo 2013, il nuovo articolato convenzionale per la durata  di  9
anni. 
    La  misura  introdotta  dalla  legge  di   stabilita'   2015   e'
intervenuta ad alterare l'equilibrio dei rapporti  tra  concedente  e
concessionario nonche' dei quelli tra i concessionari e gli operatori
di  filiera,  questi  ultimi,  peraltro,  di  natura   esclusivamente
privatistica, con evidente violazione dei  principi  fondamentali  di
diritto  interno  garantiti  dagli  articoli  3,  41   e   42   della
Costituzione, nonche' di quelli del diritto dell'Unione  in  tema  di
massimo  accesso  al  mercato,  non  discriminazione,  tutela   della
concorrenza, libero sviluppo delle prestazioni di beni e servizi. 
    L'ADM  e'  poi  intervenuta  a  dare  attuazione  alle   predette
disposizioni,   senza   curarsi    di    procedere    all'adeguamento
dell'articolato  convenzionale  attraverso   la   sottoposizione   ai
concessionari di un  apposito  schema  aggiuntivo  ne'  provvedere  a
modificare le disposizioni gia' dettate in tema di  contenuti  minimi
dei contratti con la filiera. 
    Parte ricorrente ritiene poi  che  non  si  tratti  di  una  mera
riduzione dei compensi, ma di una vera e propria espropriazione. 
    Avverso il provvedimento impugnato, deduce: 
1)   Illegittimita'   derivata   dall'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 649, della legge 23 dicembre  2014,  n.  190,  per
violazione degli articoli 3, 41 e 42 Cost. 
    La norma in rubrica incide su rapporti di durata gia' consolidati
e su scelte imprenditoriali gia' compiute in conformita' a previsioni
economiche effettuate alla luce della disciplina previgente  e  delle
convenzioni gia' stipulate. 
    Il numero degli apparecchi  in  base  al  quale  viene  ripartito
l'onere tra i concessionari e' stato accertato al 31  dicembre  2014,
sicche' i pagamenti che dovranno essere effettuati a partire  dal  30
aprile p.v. sono riferibili, dunque, a compensi  per  attivita'  gia'
svolte. 
    La norma avrebbe quindi,  sostanzialmente,  il  carattere  di  un
intervento retroattivo. 
    Secondo la Corte  costituzionale,  disposizioni  che  modifichino
rapporti di durata sono costituzionalmente ammissibili solo  a  patto
che rispettino il principio del legittimo affidamento nella sicurezza
giuridica che costituisce elemento fondante dello Stato di diritto  e
non puo' essere leso da disposizioni retroattive, che  trasmodino  in
regolamento irrazionale di situazioni sostanziali  fondate  su  leggi
anteriori (sentenze n. 24/2009, 206/2009, 236/2009,  n.  34/2010,  n.
326/2010, n. 243/2011, n.  271/2011,  n.  78/2012,  n.  277/2012,  n.
83/2012, n. 103/2013, n. 160/2013, etcc.). 
    Parte  ricorrente   ritiene   in   contrasto   con   i   principi
costituzionali    un    intervento    normativo    che,     riducendo
retroattivamente i compensi riconosciuti ai  concessionari  del  solo
comparto degli apparecchi in  virtu'  della  disciplina  normativa  e
convenzionale in  atto,  incide  cosi'  irrazionalmente  ed  in  modo
fortemente   discriminatorio   su   situazioni    sostanziali    gia'
consolidate. 
    L'affidamento gode di tutela  costituzionale,  riconducibile  non
solo all'art. 3 Cost., ma  altresi'  al'art.  41  quando  il  privato
intraprenda un'attivita' economica che comporta, tra  l'altro,  oneri
per investimenti. 
    In forza dell'art. 11, comma 1, della convenzione in  essere,  la
responsabilita'  del  concessionario  e'  correlata  «alla   completa
conoscenza dell'attuale situazione e delle potenzialita' del segmento
di mercato degli apparecchi di gioco AWP e dei sistemi VLT». 
    La nuova legge  incide  poi  anche  nei  riguardi  dei  rapporti,
squisitamente privatistici, esistenti tra concessionari  e  operatori
della filiera, prevedendo la rinegoziazione dei rapporti in essere. 
    Essa interviene infatti anche sul loro contenuto concreto,  sulla
cui base si sono venuti a calibrare  i  rispettivi  oneri  di  ordine
anche economico e le corrispondenti aspettative. 
    Il  sacrificio  imposto  dalla  novella  in  esame  ad  una  sola
categoria di operatori del gioco non puo' essere  giustificato  dalle
addotte ragioni di «concorso  al  miglioramento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica». 
    La  misura  introdotta  costituisce,  secondo   il   legislatore,
un'anticipazione «del piu' organico riordino della misura degli  aggi
e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri  operatori  di
filiera nell'ambito delle reti di raccolta del gioco per conto  dello
Stato, in attuazione dell'art. 14, comma 2, lettera g),  della  legge
11 marzo 2014, n. 23». 
    Parte ricorrente sottolinea  l'irrazionalita'  rappresentata  dal
fatto di anticipare in un contenitore  inadeguato,  quale  e'  quello
della legge di stabilita',  una  disposizione  specifica  che  va  ad
incidere in modo concreto  ed  immediato  su  un'unica  categoria  di
operatori di gioco, pur nell'imminenza dell'approvazione dei  decreti
delegati previsti dall'art. 14, comma 2, della legge delega 11  marzo
2014, n. 23. 
    Pure irragionevole si  presenta  la  previsione  secondo  cui  la
riduzione dei compensi non viene commisurata ai volumi  di  raccolta,
bensi' viene stabilita in misura fissa, in rapporto al  numero  degli
apparecchi posseduti. 
2.  Illegittimita'  derivata  dalla   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 649 della legge 23  dicembre  2014,  n.  190,  per
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.
1, Protocollo n.  1  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Secondo  la  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo, anche i diritti di credito  costituiscono  beni,  protetti
dalle norme convenzionali in rubrica. 
    La sottrazione ex lege dei crediti  spettanti  ai  concessionari,
costituisce un'indebita ingerenza dello Stato in diritti fondamentali
protetti dalla Convenzione, che  non  trova  giustificazione  in  una
finalita' legittima. 
3. Illegittimita' derivata dalla violazione delle  norme  di  diritto
europeo vigenti in tema di massimo accesso al mercato e  abbattimento
degli ostacoli  al  libero  sviluppo  delle  prestazioni  di  beni  e
servizi, nonche' di ingiustificata  limitazione  alla  concorrenza  e
all'attivita' d'impresa. 
    Parte ricorrente invoca altresi' i principi sanciti in materia di
concessioni dalla nuova direttiva 2014/23/UE, secondo cui il  rischio
insito nella concessione e' solo quello  derivante  dalla  domanda  o
dall'offerta, ferme restando per tutta la durata dell'affidamento  le
condizioni contrattuali indicate in sede di gara. 
    Le norme nazionali dovrebbero essere disapplicate o, comunque, si
renderebbe necessario formulare un quesito pregiudiziale  alla  Corte
di giustizia. 
4) Illegittimita' autonoma. Violazione dell'art. 3 della  Convenzione
di concessione sottoscritta in data 20 marzo 2013. Violazione e falsa
applicazione dell'art. 1, comma 649 della legge 23 dicembre 2014,  n.
190.  Eccesso  di  potere  per  violazione  della  corretta  sequenza
procedimentale, illogicita' e contraddittorieta' manifesta. 
    Ai sensi dell'art. 3, comma 4,  della  Convenzione,  ADM  avrebbe
dovuto promuovere la sottoscrizione di un atto aggiuntivo. 
    E' stata cosi' violata la regola della necessaria forma pattizia,
che e' alla base del modello di regolamentazione della  tipologia  di
concessione in esame. 
    E' stata completamente omessa l'attuazione delle lettere a) e  c)
del comma 649 dell'art. 1, ragion per cui i concessionari sono tenuti
a versare il contributo previsto,  quale  che  sia  il  comportamento
tenuto dagli altri operatori di filiera. 
    Con memoria del 13 marzo 2015,  la  difesa  erariale,  dopo  aver
formulato un'eccezione di difetto di legittimazione passiva del  MEF,
che non ha emesso gli atti ex adverso impugnati,  ha  preliminarmente
descritto le modalita' di funzionamento delle reti  di  raccolta  del
gioco mediante apparecchi. 
    Ha quindi precisato che, sia  per  le  AWP  sia  per  le  WLT,  i
concessionari, i gestori e gli esercenti - quali segmenti  articolati
nella rete di raccolta - vengono compensati per le quote di attivita'
che a ciascuno competono nell'organizzazione  e  funzionamento  della
rete. 
    Il denaro con cui  tali  attivita'  vengono  compensate  proviene
dalla stesso gioco ed appartiene, in origine, allo Stato. 
    Le risorse pubbliche cui esso rinuncia per remunerare le  filiere
di raccolta del gioco, ammontano a circa 4 miliardi di euro. 
    Ribadito che i rapporti tra in vari soggetti della  filiera  sono
regolati  dal  diritto  privato,  ha  poi  descritto  il  sistema  di
remunerazione della filiera. 
    E' il concessionario che, per contratto, deve  corrispondere  una
remunerazione al gestore e all'esercente. Nella pratica, in  realta',
e' il gestore ad avere in pugno la  «cassa»,  ovvero  l'ammontare  di
denaro destinato ad essere ripartito a titolo di compensi. 
    La norma della legge di stabilita' oggetto di  contestazione  non
ha istituto un nuovo tributo ma ha operato una riduzione dei compensi
dei soggetti che  compongono  le  filiere  della  raccolta  di  gioco
praticato mediante apparecchi. 
    E' come se lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi a  3,5  miliardi
di euro il montante delle risorse messo a disposizione delle predette
filiere  per  la  loro  remunerazione  stabilendo  poi  una  apposita
procedura perche' questo contenimento forzoso della remunerazione  si
«spalmasse» tra i diversi soggetti interessati. 
    Il sacrificio del «taglio» solo  per  una  parte  e'  subito  dai
concessionari in quanto per il resto il sacrificio e' dei  gestori  e
degli esercenti. 
    La  rinegoziazione  potrebbe  semplicemente  avvenire  per  fatti
concludenti. 
    Poiche' il quantum della remunerazione, nei contratti di filiera,
non e' stabilito in misura fissa  bensi'  percentuale  rispetto  alla
raccolta, non vi sarebbe nulla di piu' semplice di una rinegoziazione
di un contratto la cui componente  patrimoniale  e'  in  percentuale,
purche' si accetti la minore somma complessiva da ripartire. 
    Ad  un  settore  che  da  anni  percepisce  cumulativamente   una
remunerazione di circa 4 miliardi  di  euro,  e'  stato  chiesto,  in
sostanza, di rinunciare soltanto ad un 1/8 di tale remunerazione. 
    Ad ogni buon conto i concessionari, salvo  iniziare  direttamente
azioni  recuperatorie  nei  confronti  dei   gestori,   eventualmente
«riottosi»,  potrebbero  limitarsi  a  disvelare  all'amministrazione
l'elenco dei nominativi dei soggetti inadempienti. 
    Non vi sarebbe, poi, alcuna ricaduta per il passato  delle  nuova
misura, essendo la norma efficace dal 1° gennaio 2015. 
    La volonta' di intervento legislativo sugli aggi era gia' nota ai
concessionari e agli operatori di filiera, a mente  del  criterio  di
delega legislativa recato dall'art. 14, comma 2,  lettera  g),  della
legge n. 23 del 2014. 
    La decisione di  operare  in  prima  battuta  nel  settore  degli
apparecchi da intrattenimento, dipende dal fatto che tale segmento di
gioco esprime circa la meta' delle entrate erariali di tutti i giochi
praticati nel territorio dello Stato. 
    La norma  individua  un  criterio  proporzionale,  legato  ad  un
elemento oggettivo, quale il numero degli apparecchi di gioco, che e'
potenzialmente correlato agli introiti. 
    Parte   ricorrente   non   potrebbe   invocare    il    principio
dell'affidamento in quanto non vi e' stato uno  stravolgimento  degli
elementi essenziali del rapporto. 
    Ad ogni buon conto, la convenzione impegna il  concessionario  ad
agire nel rispetto della normativa dettata in materia di gioco. 
    Non saremmo, comunque, di fronte ad una legge - provvedimento, in
quanto la norma della legge di stabilita' incide sull'intero comparto
del gioco in esame. 
    In tale contesto, la riduzione delle somme a disposizione per  la
remunerazione della filiera  ha  una  portata  equivalente  all'1,06%
della raccolta di gioco e all'8,3% dei compensi della filiera. 
    Quanto  alle  censure  relative   al   criterio   prescelto   per
commisurare la riduzione dei compensi,  vi  sarebbe  una  tendenziale
coerenza tra il dato della raccolta  e  il  numero  degli  apparecchi
riferibili al concessionario. 
    Neppure vi  sarebbe  lesione  della  liberta'  d'impresa  ove  si
consideri che i concessionari sono agenti contabili, tenuti al  conto
giudiziale degli introiti derivanti  dalla  gestione  telematica  del
gioco lecito. 
    L'invocato art. 3 della convenzione si riferisce alle ipotesi  in
cui  si  rendano  necessarie  variazioni  delle  attivita'   tecniche
indicate nell'atto di convenzione e nel capitolato tecnico. 
    In sostanza, le prescrizioni contenute nella legge di  stabilita'
2015, per potere essere applicate ai concessionari,  non  necessitano
di essere recepite e formalizzate in un  atto  integrativo,  trovando
applicazione   le   previsioni   dell'art.   12,   secondo   cui   il
concessionario e' obbligato a versare le  somme  a  qualsiasi  titolo
dovute  non  solo  in  base  all'atto  di  convenzione  ma  anche  in
esecuzione di ogni altra norma o  provvedimento  che  disciplini  gli
apparecchi in questione. 
    Infine, la norma non ha introdotto un tributo, con la conseguenza
che ad  essa  e'  possibile  sottrarsi,  ad  esempio,  sciogliendo  i
rispettivi contratti  (tra  i  concessionari  e  ADM,  ovvero  tra  i
concessionari e gli altri operatori della filiera). 
    Con ordinanza n. 1472 del 2 aprile 2015, l'istanza  cautelare  e'
stata respinta. 
    In data 29 maggio 2015, e' intervenuto ad opponendum il Codacons. 
    Il ricorso e' passato in decisione una prima volta, alla pubblica
udienza del 1° luglio 2015. 
    Con ordinanza n. 9772 del 20 luglio 2015, la Sezione ha  disposto
incombenti istruttori. 
    Segnatamente, ha richiesto al concessionario  «di  depositare  in
giudizio: A) copia del conto economico relativo  al  bilancio  al  31
dicembre 2013 e copia del conto economico relativo al bilancio al  31
dicembre 2014, ove approvato dall'Assemblea  ordinaria,  accompagnato
da una tabella riassuntiva, per ciascuno dei  due  anni,  del  valore
aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione  al  netto
del costo delle materie prime  consumate  e  del  costo  dei  servizi
esterni  e  di  altri  eventuali  costi  di  gestione),  del  margine
operativo lordo (intendendosi per tale il valore  aggiunto  al  netto
del costo del lavoro) e del  risultato  operativo  (intendendosi  per
tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti  e  degli
accantonamenti della gestione tipica); B) una tabella riassuntiva dei
compensi complessivamente riconosciuti negli anni 2013  e  2014  agli
altri operatori della propria filiera, con espressa indicazione circa
l'appostazione degli stessi nel conto economico  tra  i  costi  della
produzione e, in particolare, tra i costi  per  servizi  o  in  altra
voce». 
    L'Agenzia delle dogane e dei monopoli e' stata invece onerata  di
depositare in giudizio  una  dettagliata  relazione,  per  quanto  di
propria conoscenza, in  ordine  all'aggregazione  dei  suddetti  dati
richiesti al  concessionario  ricorrente  per  l'intero  settore  dei
giochi  in  discorso,  comprensiva  di   ogni   ulteriore   eventuale
chiarimento sull'incidenza dell'intervento legislativo sui margini di
redditivita' delle imprese del settore. 
    La ricorrente  e  l'amministrazione  resistente,  per  quanto  di
rispettiva competenza, hanno adempiuto  l'incombente  istruttorio  e,
unitamente al Codacons, hanno prodotto altre memorie  a  sostegno  ed
illustrazione delle rispettive ragioni. 
    La causa e' stata  infine  trattenuta  in  decisione  all'udienza
pubblica del 21 ottobre 2015. 
    2. L'Agenzia delle dogane e dei monopoli gestisce  l'offerta  del
gioco lecito tramite apparecchi da divertimento ed intrattenimento di
cui all'art. 110, comma  6,  del  TULPS  ed  a  tal  fine  seleziona,
attraverso procedure ad evidenza pubblica, i soggetti cui affidare in
concessione la realizzazione e conduzione della rete per la  gestione
telematica del gioco. 
    I  concessionari,  che  hanno  sottoscritto  una  convenzione  di
concessione di durata novennale, sono attualmente tredici. 
    Gli apparecchi da divertimento  e  intrattenimento  sono  di  due
tipi: le Amusement With Prizes (AWP)  e  le  Video  Lottery  Terminal
(VLT). 
    Le AWP sono  apparecchi  che  vengono  installati  principalmente
presso esercizi generalisti primari (come, ad esempio,  i  bar  e  le
rivendite di tabacchi), denominati «esercenti», ed  operano  con  una
posta massima di 1 euro a fronte di una possibile vincita massima  di
100 euro. Tali apparecchi, generalmente, sono acquistati o noleggiati
da operatori  terzi,  i  cc.dd.  «gestori»,  che  si  occupano  anche
dell'installazione  e  della  manutenzione  presso  gli  «esercenti»,
titolari di esercizi commerciali dotati di  specifica  autorizzazione
ai sensi del TULPS, a loro volta convenzionati con gli stessi gestori
o con i concessionari. 
    Nella filiera del  comparto  delle  VLT,  invece,  e'  di  solito
assente il gestore perche' gli apparecchi sono  forniti  direttamente
dal  concessionario,  che  si  prende  carico  dell'intera   gestione
operativa degli stessi. La posta di gioco con le  VLT  e'  consentita
fino a 100 euro, mentre la vincita conseguibile arriva fino  a  5.000
euro. 
    I rapporti tra lo Stato  ed  i  concessionari  sono  regolati  da
apposite convenzioni, mentre i rapporti tra concessionari, gestori ed
esercenti sono regolati da contratti di diritto privato, che, secondo
quanto riferito dalla difesa erariale, non rispondono a modelli  tipo
redatti o approvati dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. 
    Il compenso  spettante  ai  concessionari  e'  calcolato  in  via
residuale, in quanto e' pari all'importo delle giocate dedotti: 
    le vincite pagate ai giocatori (che non possono essere  inferiori
al 74% degli importi giocati per le AWP e all'85% per le VLT); 
    gli importi dovuti agli altri operatori della filiera, gestori ed
esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con gli stessi
stipulati; 
    gli importi dovuti  all'Agenzia  delle  dogane  e  dei  monopoli,
principalmente a titolo di canone di concessione; 
    gli importi dovuti all'Erario, principalmente il  PREU  ai  sensi
dell'art. 39, comma 13, decreto-legge n. 269 del 2013, convertito con
legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della legge  n.  266
del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate  per  gli  apparecchi
AWP ed al 5% delle giocate per gli apparecchi VLT. 
    La remunerazione  dei  concessionari  e  dell'intera  filiera  di
gestori  ed  esercenti  che  ad  essi  fa  capo,   quindi,   proviene
dall'insieme delle giocate ed e' carico  dello  Stato  in  quanto  il
denaro, una volta inserito  nell'apparecchio  da  gioco,  diviene  di
proprieta' dello Stato. 
    3. L'art. 14 della legge n. 23 del 2014 ha delegato il Governo ad
attuare «il riordino delle disposizioni vigenti in materia di  giochi
pubblici, riordinando tutte le norme in vigore  in  un  codice  delle
disposizioni sui giochi,  fermo  restando  il  modello  organizzativo
fondato  sul  regime  concessorio   e   autorizzatorio,   in   quanto
indispensabile  per  la  tutela  della  fede,  dell'ordine  e   della
sicurezza pubblici, per il contemperamento degli  interessi  erariali
con quelli  locali  e  con  quelli  generali  in  materia  di  salute
pubblica,  per  la  prevenzione  del  riciclaggio  dei  proventi   di
attivita' criminose, nonche' per garantire il regolare  afflusso  del
prelievo tributario gravante sui giochi». 
    Tra i principi e criteri direttivi cui dovra'  essere  improntato
il riordino, la lettera g) del secondo comma  prevede  la  «revisione
degli aggi e dei compensi spettanti ai  concessionari  e  agli  altri
operatori secondo un criterio di progressivita' legata ai  volumi  di
raccolta delle giocate». 
    L'art. 1, comma 649, della  legge  n.  190  del  2014  (legge  di
stabilita' per il 2015), nelle more, ha previsto che: 
        «[...] e' stabilita in 500 milioni di euro su base  annua  la
riduzione, a  decorrere  dall'anno  2015,  delle  risorse  statali  a
disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei  soggetti
che, secondo le  rispettive  competenze,  operano  nella  gestione  e
raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all'art. 110,
comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno  1931,  n.
773. Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015: 
    a)  ai  concessionari  e'  versato  dagli  operatori  di  filiera
l'intero ammontare della raccolta  del  gioco  praticato  mediante  i
predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate.  I  concessionari
comunicano all'Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli
operatori di filiera che non effettuano  tale  versamento,  anche  ai
fini dell'eventuale  successiva  denuncia  all'autorita'  giudiziaria
competente; 
    b) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche  loro
attribuite, in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a
titolo di imposte ed altri oneri  dovuti  a  legislazione  vigente  e
sulla  base  delle  convenzioni  di  concessione,  versano   altresi'
annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e
di ottobre di ogni anno, ciascuno in quota proporzionale al numero di
apparecchi ad essi riferibili alla data del  31  dicembre  2014.  Con
provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli,
adottato  entro  il  15  gennaio  2015,  previa  ricognizione,   sono
stabiliti il numero degli apparecchi di cui all'art.  110,  comma  6,
lettere a) e b), del testo unico di cui al regio  decreto  18  giugno
1931,  n.  773,  riferibili  a  ciascun  concessionario,  nonche'  le
modalita' di effettuazione del versamento. Con analogo  provvedimento
si  provvede,  a   decorrere   dall'anno   2016,   previa   periodica
ricognizione, all'eventuale  modificazione  del  predetto  numero  di
apparecchi; 
    c) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche  loro
attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le  somme
residue, disponibili per aggi e  compensi,  rinegoziando  i  relativi
contratti e versando gli aggi  e  compensi  dovuti  esclusivamente  a
fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati.». 
    L'Agenzia delle dogane e dei monopoli,  con  l'impugnato  decreto
direttoriale del 15 gennaio 2015,  ai  fini  della  ripartizione  del
versamento  dell'anzidetto  importo  di  500  milioni  di  euro,   ha
individuato  il  numero  degli  apparecchi   riferibile   a   ciascun
concessionario alla data del 31 dicembre 2014, per cui  ha  ripartito
in  maniera  proporzionale  il  versamento  a   carico   di   ciascun
concessionario (alla Societa' ricorrente, per  un  totale  di  37.938
apparecchi  riferibili,  e'  stato  imposta  una  quota  annuale   di
versamento   di   euro   45.801.360,83),   stabilendo   che   ciascun
concessionario effettua il versamento nella misura del 40%  entro  il
30 aprile 2015 e per il residuo 60% entro il 31 ottobre 2015. 
    Ne consegue che, in ragione del disposto della norma di legge  la
cui legittimita' costituzionale e'  in  questa  sede  contestata,  il
compenso spettante ai concessionari e' ora calcolato in via residuale
sottraendo al totale delle somme  raccolte  non  soltanto  quanto  in
precedenza esposto, vale a dire: 
    le vincite pagate ai giocatori (che non possono essere  inferiori
al 74% degli importi giocati per le AWP e all'85% per le VLT); 
    gli importi dovuti agli altri operatori della filiera, gestori ed
esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con gli stessi
stipulati; 
    gli importi dovuti  all'Agenzia  delle  dogane  e  dei  monopoli,
principalmente a titolo di canone di concessione; 
    gli importi dovuti all'Erario, principalmente il  PREU  ai  sensi
dell'art. 39, comma 13, decreto-legge n. 269 del 2013, convertito con
legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della legge  n.  266
del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate  per  gli  apparecchi
AWP ed al 5% per gli apparecchi VLT; ma anche 
    il versamento dovuto allo Stato ai sensi dell'art. 1, comma  649,
lettera b), della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilita'  per  il
2015). 
    4. Il Collegio ritiene che sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
comma 649, della legge n. 190 del 2014. 
    4.1 La questione si presenta all'evidenza rilevante ai fini della
decisione  della   controversia   in   quanto   l'impugnato   decreto
direttoriale del 15 gennaio 2015 e' stato adottato nell'esercizio  di
un potere del tutto  vincolato  e,  in  particolare,  nella  doverosa
applicazione della richiamata norma di legge, sicche' la  definizione
del presente  giudizio  discende  inevitabilmente  dalla  risoluzione
della questione di legittimita' costituzionale. 
    4.2 Detta questione, oltre che rilevante ai fini della  decisione
della controversia, non e' manifestamente infondata alla  luce  degli
insegnamenti della Corte costituzionale in subiecta materia. 
    In una fattispecie per alcuni versi analoga  a  quella  in  esame
(sentenza n. 92 del 22 maggio 2013) la Corte, in continuita'  con  la
propria   consolidata   giurisprudenza   in   materia    di    tutela
dell'affidamento, ha giudicato  costituzionalmente  illegittimo,  per
violazione del principio di ragionevolezza, l'art. 38, commi 2, 4,  6
e 10 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326
del 2003 nella parte in cui determina effetti  retroattivi  in  peius
sul regime dei compensi spettanti ai custodi di veicoli sottoposti  a
sequestro, fermo amministrativo e confisca. 
    In tale circostanza, il Giudice delle leggi ha rappresentato  che
la ragionevolezza complessiva della trasformazione  alla  quale  sono
stati assoggettati i rapporti negoziali deve «essere  apprezzata  nel
quadro di un altrettanto ragionevole contemperamento degli  interessi
- tutti di rango costituzionale, comunque ancorabili al parametro  di
cui all'art. 3 Cost. -  che  risultano  nella  specie  coinvolti;  ad
evitare che una generalizzata esigenza di contenimento della  finanza
pubblica   possa   risultare,   sempre   e    comunque,    e    quasi
pregiudizialmente, legittimata a  determinare  la  compromissione  di
diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi,  sia
individuali, sia anche collettivi». 
    Con specifico riguardo al settore dei giochi in esame, la  Corte,
nella successiva sentenza n. 56 del 2015, ha dichiarato  non  fondata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  79,
della legge n. 220 del 2010, in  riferimento  agli  articoli  3,  41,
comma  primo,  e  42,  terzo  comma,  Cost.;  tali  norme   prevedono
l'aggiornamento dello  schema  tipo  di  convenzione  accessiva  alle
concessioni per l'esercizio e la  raccolta  non  a  distanza,  ovvero
comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici, in modo  che  i
concessionari siano dotati dei nuovi «requisiti» e accettino i  nuovi
«obblighi» prescritti, rispettivamente, nelle lettere  a)  e  b)  del
comma 78, e  che  i  contenuti  delle  convenzioni  in  essere  siano
adeguati agli "obblighi" di cui sopra. 
    La legge n. 220 del 2010 (legge di stabilita' per  il  2011),  in
particolare, ha introdotto le norme oggetto di censura a garanzia  di
plurimi interessi pubblici, quali la trasparenza, la  pubblica  fede,
l'ordine pubblico  e  la  sicurezza,  la  salute  dei  giocatori,  la
protezione dei minori e delle fasce di giocatori adulti piu'  deboli,
la protezione degli  interessi  erariali  relativamente  ai  proventi
pubblici derivanti dalla raccolta del gioco; con esse,  sia  i  nuovi
concessionari,  sia  i  titolari  delle  concessioni  in  corso  sono
assoggettati a nuovi «obblighi», in prevalenza di natura  gestionale,
diretti al mantenimento di indici di solidita' patrimoniale per tutta
la durata del rapporto ed  a  questi  si  affiancano  «obblighi»  che
concorrono alla protezione  dei  consumatori  e  alla  riduzione  dei
rischi  connessi  al  gioco  o  che  introducono  clausole  penali  e
meccanismi diretti a rendere effettive le cause  di  decadenza  della
concessione.  Sono  infine  previsti   «obblighi»   di   prosecuzione
interinale dell'attivita' e di cessione non onerosa o di  devoluzione
all'amministrazione  concedente,  su  sua   richiesta,   della   rete
infrastrutturale di gestione e raccolta del gioco  dopo  la  scadenza
del rapporto. 
    Nel caso richiamato, si e' posto in rilievo che  «il  valore  del
legittimo affidamento riposto nella  sicurezza  giuridica  trova  si'
copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non  gia'  in  termini
assoluti  ed  inderogabili.  Per  un  verso,  infatti,  la  posizione
giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza
nel tempo  di  un  determinato  assetto  regolatorio  deve  risultare
adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per  un  periodo
sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico
sostanziale atto a  far  sorgere  nel  destinatario  una  ragionevole
fiducia nel suo mantenimento. Per  altro  verso,  interessi  pubblici
sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a  incidere
peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico  limite
della proporzionalita'  dell'incisione  rispetto  agli  obiettivi  di
interesse pubblico». 
    Ne consegue che «non e'  affatto  interdetto  al  legislatore  di
emanare  disposizioni  le  quali  vengano  a  modificare   in   senso
sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti  di  durata,
anche se l'oggetto di questi sia  costituito  da  diritti  soggettivi
perfetti,  unica  condizione  essendo  che  tali   disposizioni   non
trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo  a
situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti,  l'affidamento
dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento
fondamentale dello Stato di diritto». 
    Nella fattispecie in esame, gli interessi pubblici tutelati  sono
individuabili nella necessita', a fronte della profonda e  perdurante
crisi finanziaria che ha  progressivamente  colpito  anche  lo  Stato
italiano, di un maggiore concorso agli obiettivi di finanza  pubblica
da parte della filiera che opera nella gestione e raccolta del  gioco
praticato mediante apparecchi di cui all'art.  110,  comma  6,  testo
unico n. 773 del 1931. 
    Al fine di valutare  il  superamento  o  meno  del  limite  della
proporzionalita' rispetto agli obiettivi di  interesse  pubblico,  la
Sezione, con ordinanza del 20 luglio  2015,  ha  disposto  incombenti
istruttori a carico delle parti per individuare, in linea di massima,
in che misura la riduzione del  compenso  di  500  milioni  a  carico
dell'intera filiera incida sui margini di redditivita' della  singola
impresa. 
    La Societa' ricorrente ha depositato copia  dei  conti  economici
relativi ai bilanci al 31 dicembre 2013 e al 31  dicembre  2014,  con
una tabella riassuntiva,  per  ciascuno  dei  due  anni,  del  valore
aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione  al  netto
del costo delle materie prime  consumate  e  del  costo  dei  servizi
esterni  e  di  altri  eventuali  costi  di  gestione),  del  margine
operativo lordo (intendendosi per tale il valore  aggiunto  al  netto
del costo del lavoro) e del  risultato  operativo  (intendendosi  per
tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti  e  degli
accantonamenti della gestione tipica)  nonche'  con  indicazione  dei
compensi complessivamente riconosciuti negli anni 2013  e  2014  agli
altri operatori della propria filiera. 
    Da tale documentazione, e'  emerso  che,  generalmente,  rispetto
all'intera filiera, l'incidenza del  versamento  imposto  non  appare
ictu oculi violativo del principio di proporzionalita', vale  a  dire
del  «limite  della  proporzionalita'  dell'incisione  rispetto  agli
obiettivi di interesse pubblico», indicato dalla richiamata  sentenza
della Corte costituzionale n. 56 del 2015 
    Il Collegio, tuttavia, ritiene che la norma di  cui  all'art.  1,
comma 649, della legge di  stabilita'  per  il  2015  presenti  altri
profili che rendono la questione di legittimita'  costituzionale  non
manifestamente infondata in relazione agli articoli 3 e 41, comma  1,
Cost. 
    Viene qui in rilievo il canone di ragionevolezza,  assurto  nella
giurisprudenza costituzionale a clausola generale, anche quale limite
immanente all'esercizio della discrezionalita' del legislatore. 
    Tale giudizio di ragionevolezza, per lungo  tempo  caratterizzato
dalla necessaria individuazione di un termine di  raffronto  (tertium
comparationis) soltanto a fronte del quale  la  normativa  denunciata
puo' rivelarsi incostituzionale (schema di giudizio ternario), si  e'
via via affrancato dal giudizio di comparazione  ed  e'  divenuto  un
canone autonomo. 
    L'autonomia  della  ragionevolezza  rispetto   al   giudizio   di
eguaglianza appare con tutta evidenza laddove l'art.  3  Cost.  viene
evocato  congiuntamente  sotto  il  profilo   della   disparita'   di
trattamento e sotto il  profilo  della  ragionevolezza,  e  la  Corte
argomenta distintamente per ciascuno dei due profili. 
    Il Collegio ritiene che la norma  contestata  presenti  dubbi  di
compatibilita' costituzionale con riferimento sia  al  profilo  della
disparita' di trattamento sia al profilo della ragionevolezza. 
    Con riguardo alla ragionevolezza, va in primo  luogo  considerato
che l'intervento legislativo e' avvenuto in dichiarata  anticipazione
del piu' organico riordino della misura degli  aggi  e  dei  compensi
spettanti  ai  concessionari  e  agli  altri  operatori  di   filiera
nell'ambito delle reti di raccolta del gioco per conto  dello  Stato,
in attuazione dell'art. 14, comma 2, lettera g), della  legge  n.  23
del 2014. 
    Sennonche', mentre il criterio per il riordino previsto dall'art.
14, comma 2, lettera g), della  legge  n.  23  del  2014  prevede  la
revisione degli aggi e compensi spettanti  ai  concessionari  e  agli
altri operatori «secondo un  criterio  di  progressivita'  legata  ai
volumi di raccolta delle  giocate»,  la  norma  in  contestazione  ha
previsto la riduzione dei compensi in «quota proporzionale» al numero
di apparecchi riferibili ai concessionari alla data del  31  dicembre
2014. 
    Ne consegue che, sebbene sia stato  fatto  specifico  riferimento
alla norma che prevede il criterio di riduzione degli aggi e compensi
secondo un «criterio di progressivita' legata ai volumi  di  raccolta
delle  giocate»,  il  criterio  introdotto  per   ripartire   tra   i
concessionari l'importo totale di euro 500 milioni e' legato  non  ad
un dato di flusso, quale i volumi di raccolta delle giocate, ma ad un
dato fisso, quale il numero di apparecchi esistenti  e  riferibili  a
ciascun concessionario al 31 dicembre 2014 o in sede di  ricognizione
successiva. 
    Tale contraddizione, ad avviso del Collegio, e' di per se' idonea
ad indurre il sospetto che la norma di cui  all'art.  1,  comma  649,
della legge di stabilita' per il 2015 abbia violato sia il  principio
di ragionevolezza che quello di uguaglianza. 
    Premessa,  infatti,  la   contraddittorieta'   intrinseca   della
disposizione che afferma di attuare una norma e poi in concreto se ne
discosta, appare illogico il riferimento ad un dato statico (sia pure
soggetto ad aggiornamento), cioe' il numero di apparecchi  riferibile
a ciascun concessionario ad una  certa  data,  anziche'  ad  un  dato
dinamico, il volume di raccolta delle giocate, in quanto la capacita'
di reddito di ogni singolo concessionario e della relativa filiera e'
misurata in maniera molto piu' propria dall'entita' complessiva degli
importi incassati  che  dal  numero  degli  apparecchi  riferibile  a
ciascun soggetto. 
    Il criterio individuato,  in  altri  termini,  postula  che  ogni
apparecchio effettui uno stesso volume di giocate, il che appare  del
tutto implausibile. 
    Analogamente, il criterio individuato dalla norma sembra  violare
il principio di uguaglianza in  quanto,  essendo  il  riferimento  al
numero  di  apparecchi  riferibile  a  ciascun   concessionario   non
compitamente indicativo  dei  margini  di  reddito  conseguiti  dallo
stesso, la ripartizione della riduzione dei compensi potrebbe  andare
a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano mediamente un
maggior volume di giocate ed  a  detrimento  degli  operatori  i  cui
apparecchi, invece, registrano mediamente un minor volume di giocate. 
    La previsione normativa, in  sostanza,  sembra  avere  violato  i
canoni di ragionevolezza e  parita'  di  trattamento  presumendo,  in
maniera illogica, che ciascun apparecchio da intrattenimento abbia la
stessa potenzialita' di reddito laddove quest'ultima dipende  da  una
molteplicita' di fattori (quali, in primo luogo,  la  differenza  tra
AWP e VLT e, poi, ad esempio, il comune, il quartiere, la  strada  in
cui l'apparecchio e' situato nonche' la  sua  ubicazione  all'interno
del  locale)  che  rendono  implausibile  il  criterio   scelto   dal
legislatore. 
    La violazione del principio di ragionevolezza e  di  uguaglianza,
peraltro, e' individuabile anche con riferimento al fatto che, mentre
la legge delega n.  23  del  2014,  ha  previsto  il  riordino  delle
disposizioni vigenti in materia di giochi  pubblici  e,  quindi,  del
loro intero sistema, la norma in contestazione incide solo sui giochi
praticati mediante apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, TU n. 773
del 1931 e, per l'effetto, e' destinata solo ad un segmento, sia pure
di enorme rilievo, al suo interno. 
    Va  da  se'  che  la  descritta  irragionevole  ripartizione  del
versamento   imposto   tra   i   concessionari   potrebbe    produrre
un'alterazione del libero gioco della  concorrenza  tra  gli  stessi,
favorendo quelli che, in presenza di una redditivita'  superiore  per
singolo apparecchio, si trovano a versare, in proporzione  al  volume
di giocate raccolte, un importo minore,  per  cui  possono  destinare
maggiori risorse agli investimenti e, in senso piu'  lato,  favorendo
gli operatori del settore dei giochi pubblici diversi  da  quelli  in
discorso. 
    La questione di legittimita' costituzionale della  norma  di  cui
all'art. 1, comma 649,  della  legge  n.  190  del  2014  non  appare
manifestamente  infondata  anche  con  riferimento  alla   violazione
dell'art.  41  Cost.  che   sancisce   il   principio   di   liberta'
dell'iniziativa economica privata. 
    Il Collegio rileva infatti che, qualora  si  tratti  di  soggetti
privati  che,  nell'intraprendere  attivita'  d'impresa,   sostengono
consistenti investimenti,  la  legittima  aspettativa  ad  una  certa
stabilita' nel tempo del rapporto concessorio gode di una particolare
tutela costituzionale, riconducibile non solo all'art.  3  Cost.,  ma
anche all'art. 41 Cost. 
    In  particolare,  il  legittimo   affidamento   dell'imprenditore
implica l'aspettativa che le sopravvenienze normative  non  finiscano
per vanificare l'iniziativa economica intrapresa e  gli  investimenti
sostenuti, atteso che, se l'imprenditore evidentemente deve  assumere
su di se' i rischi d'impresa derivanti da mutamenti della  situazione
di fatto, non puo' dirsi  allo  stesso  modo  per  le  sopravvenienze
normative che incidono sulle condizioni  economiche  stabilite  nella
convenzione accessiva al rapporto concessorio. 
    Nel caso di specie, se, da un lato,  il  versamento  imposto  non
appare  prima  facie   violativo   del   richiamato   «principio   di
proporzionalita'» scolpito nella sentenza della Corte  costituzionale
n. 56 del 2015, dall'altro, la determinazione in misura fissa  e  non
variabile del contributo imposto, in quanto destinato  ad  operare  a
tempo  indeterminato,  potrebbe  potenzialmente  produrre   un   peso
insostenibile per gli  operatori  della  filiera  ove  i  margini  di
redditivita' della stessa dovessero consistentemente ridursi. 
    In altri termini, se con riferimento ai dati del conto  economico
2014, il versamento  imposto  alla  ricorrente,  pur  costituendo  un
significativo «taglio» alla sua capacita' di reddito, non appare tale
da  violare  il  «principio  di  proporzionalita'»  in  un'ottica  di
bilanciamento tra  interessi  costituzionalmente  rilevanti,  non  e'
possibile  escludere  che,  ove  i  volumi  delle  giocate   raccolte
dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione  del  versamento
in misura fissa e non  variabile,  come  funzione  del  volume  delle
giocate,  potrebbe  determinare   un   reale   stravolgimento   delle
condizioni  economiche  pattuite  in  convenzione   con   conseguente
eccessiva gravosita' degli obblighi imposti per i concessionari ed  i
relativi operatori di filiera. 
    Parimenti irragionevole e lesiva  della  liberta'  di  iniziativa
economica dell'impresa si rivelano poi le previsioni, contenute nelle
lettera a) e c) del secondo comma dell'art. 1, comma 649 della  legge
di stabilita' per il 2015, secondo cui «ai concessionari  e'  versato
dagli operatori di filiera  l'intero  ammontare  della  raccolta  del
gioco praticato  mediante  i  predetti  apparecchi,  al  netto  delle
vincite pagate» e «i  concessionari,  nell'esercizio  delle  funzioni
pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli  altri  operatori  di
filiera  le  somme  residue,  disponibili  per   aggi   e   compensi,
rinegoziando i relativi contratti e  versando  gli  aggi  e  compensi
dovuti esclusivamente a fronte  della  sottoscrizione  dei  contratti
rinegoziati». 
    Tali disposizioni appaiono idonee a  riflettersi  sulla  liberta'
contrattuale di tutti gli operatori della filiera. 
    In  particolare,  per  quanto  riguarda   i   concessionari,   il
meccanismo imposto dal legislatore,  di  inversione  del  flusso  dei
pagamenti  attraverso  cui  si  e'  sino  ad   ora   proceduto   alla
remunerazione  del  settore  (oggetto   di   specifiche   pattuizioni
contrattuali), aumenta il rischio cui sono  esposti  i  concessionari
del mancato  adempimento  delle  obbligazioni  gravanti  sugli  altri
operatori della filiera, senza che tale  mancato  adempimento  faccia
comunque venire meno l'obbligo dei concessionari medesimi di  versare
allo Stato, nei termini  indicati,  l'importo,  concernente  l'intera
filiera, quantificato  nell'impugnato  decreto  direttoriale  del  15
gennaio 2015. 
    La profonda modifica dell'assetto della concessione, non  risulta
invero controbilanciata dall' obbligo di rinegoziazione dei contratti
imposto, a cascata, nei  rapporti  con  gli  operatori  interni  alla
filiera, sia in quanto la  concreta  modifica  di  tali  rapporti  e'
rimessa (ne' potrebbe essere diversamente) alla libera volonta' delle
parti, sia perche' i concessionari non sono stati dotati di strumenti
diversi   dagli   ordinari   rimedi   contrattuali   per   conseguire
l'adempimento delle obbligazioni dei gestori, cosi' come,  almeno  in
parte,  direttamente  e  innovativamente  conformate   dallo   stesso
legislatore. 
    Cio' senza dire che, sebbene  non  rilevi  nella  fattispecie  in
esame, anche la stessa imposizione autoritativa della rinegoziazione,
riguardata dal lato  dei  gestori,  si  appalesa  lesiva  della  loro
liberta'  di  iniziativa  economica  nonche'  dell'affidamento  nella
percezione del compenso quale in precedenza negoziato. 
    5.  Per  tutte  le  ragioni  sopraesposte,  il  Collegio  ritiene
rilevante  ai  fini  della  decisione  della   controversia   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del  2014  per  violazione
degli articoli 3 e 41, primo comma, Cost. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  affinche'  si
pronunci sulla questione.